[pubblico qui la traccia, arricchita con link ipertestuali, del mio intervento per il convegno Atelier di ieri. Che, direi, è andato bene, con molti spunti e un Corsi insolitamente nei tempi… Da notare che ieri, nelle stesse ore in cui io parlavo cercando di ridimensionare le frustate verso internet, usciva un articolo di Gilda Policastro la quale, da par suo, fustigava i fustigatori e ribadiva il vitalismo della rete come unica fonte di rinnovamento; è un utile supplemento agli spunti di riflessione.
Attendendo che esca qualche foto sui social, inserisco quella della Madonna con bambino di Filippo Lippi, che sta nella sala attigua a quella degli specchi, in cui si è tenuto il convegno, e che ogni volta che si presentava la necessità di sgranchirsi un po’ le gambe era bello contemplare…]
AGGIORNAMENTO: l’intervento, riveduto e migliorato, è pubblicato sul numero 85 della rivista Atelier, in uscita a fine aprile. A questo link l’indice e la possibilità di acquisto online.
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Grazie agli organizzatori per l’invito. Un grazie particolare a Michele Brancale. La traccia affidatami riguarda “L’online della poesia” (mescolando produzione poetica e recezione critica, come sentirete). L’argomento è sterminato e ampiamente attenzionato, in ultimo anche dalla stampa; i miei sono solo pochi e forse arcinoti punti di vista, limitati alla poesia tradizionale, lineare, non interattiva o ipertestuale; quest’ultima meriterebbe senz’altro un approfondimento ma un po’ off topic rispetto alla giornata di oggi.
Una famosa poesia di Valerio Magrelli avanza sarcasticamente l’ipotesi che l’unica vera coscienza che abbiamo dello Stato sia quella meteorologica. Di certo un relatore, quando può, deve essere un buon meteorologo. Captare che aria tira.
In questo caso ho la fortuna di parlarvi a ridosso di un paio di mesi in cui la stampa si è occupata molto, direttamente o di riflesso, della poesia online. Su La Lettura del 18/12 Francesco Permunian, per esempio, parla di età della “vanità mediatica” e di “affollata solitudine del blog”[1].
Pubblicare “in rete” le proprie poesie sarebbe un esercizio deteriore di vanità (anche se bisogna stare attenti con la parola “vanità”: sapete che l’editoria a pagamento in inglese viene chiamata Vanity press, dunque direi che il vizio compete altrettanto, se non di più, a una buona parte del cartaceo rispetto all’online). E soprattutto pubblicare in rete condannerebbe il singolo poeta alla solitudine e all’irrilevanza, come se fosse una particella di sodio in acqua Lete (Lete che non a caso è il fiume dell’oblio, quindi tutto sembrerebbe tornare).
Se poi lo sventurato poeta in fieri si esprime sui social network (da Facebook fino a Wattpad) anziché sul suo solitario blog, si passa dalla solitudine allo stigma: Aldo Nove, sul L’espresso di questo 29 gennaio, si esprime così: “La poesia, nei social, ci sta come i cavoli a merenda” o “antipoesie scritte da inconsapevoli antipoeti che poi, nei thread dei commenti, sono sommersi da complimenti di altri antipoeti in una valanga autoreferenziale di consensi imbarazzanti quanto le “poesie” stesse”[2]. Quindi alla “non poesia” in rete si dà pure una carica antitetica, virale, “dannosa” per la buona poesia.
Eccovi dunque il meteo de L’online della poesia: tempo inclemente, gravido di nere nubi di nostalgia. Nessuna solidarietà tra “utenti del corrimano” in stile Szymborska: sei solo con te stesso oppure dileggiato.
Oltretutto, a livello storico e di grande stampa, mi preme constatare che leggere questi articoli oggi fa pensare che dieci anni siano passati invano: sull’apertura che Nanni Balestrini fece alla poesia online già in una famosa intervista del 3 agosto 2006 resa a Florinda Fusco sul quotidiano Liberazione (money quote: «Per fortuna c’è internet, che permette di far circolare ovunque, rapidamente ed economicamente, le poesie di tutti»), prevalgono ancora, si direbbe, le reazioni piccate di Giuseppe Conte sul Corsera (la poesia in rete come “materiale inerte”, “esternazioni emozionali” create da “esibizionisti” o “scemi del villaggio”).
Dunque, se mi consentite il calembour: Nihil novi, Nove.
Come mettere ordine? La parola-chiave per catalogare l’online della poesia, come spesso quando viene in ballo la rete, è disintermediazione. “Googlando”: “Riduzione del ricorso a intermediari nella compravendita [sive: fruizione] di beni e servizi in seguito alla diffusione di Internet, che facilita il contatto diretto tra utenti e produttori”.
In breve: la possibilità di poesia in rete ha permesso a chiunque di saltare a piè pari il responso e il lavoro editoriale o critico. All’immediatezza del tasto “pubblica” sul proprio blog, affiancherei, come esempio di disintermediazione poetica, anche una piattaforma online come KDP, Kindle Direct Publishing, che consente all’autore di diventare addirittura editore di se stesso, realizzare e vendere ebook in rete sul circuito Amazon, senza spese e con una royalty che può arrivare al 70%.
Detto questo, le affermazioni di Permunian e Nove non sono del tutto campate in aria. Alcuni corollari negativi di questa disintermediazione poetica sono evidenti anche a una breve “passeggiata” internautica: intanto la lancinante assenza di un filtro editoriale e di una seria attività di editing (questa però in netto calo anche nel cartaceo, dove sempre più libri che leggo sono chiaramente “manoscritti stampati” e non “editi”). Questa assenza può fare venire meno la qualità, senza peraltro che questo giustifichi una delegittimazione di massa: ci sono poeti eccellenti e consacrati che affidano inediti a facebook con cadenza regolare: Giacomo Trinci, Marina Pizzi, Carlo Molinaro, Enrico De Lea per citarne solo quattro.
Dall’altro lato (qui Permunian ha ragione) la sostanziale solitudine di chi scrive sul proprio spazio personale, dovuta però non tanto alla scarsa qualità quanto al debordare dell’offerta di poesia rispetto alla domanda, come pure all’assenza di una seria promozione; solitudine invero “affollata” solo di plausi acritici – per lo più da parte di conoscenti (“amici e sottoposti gerarchici”, come amo dire).
Poco o nullo, in sintesi, il “contatto diretto”, il dialogo tra poeta e lettore autentico, per tornare alla nozione di disintermediazione.
Ma la rete non è solo negatività.
Per esempio, un grande e dirompente effetto positivo che la rete può dispiegare sulla poesia, e che non viene quasi mai calcolato a dovere, è nella sua capacità di ridurre fino tendenzialmente ad azzerare lo scarto cronologico tra composizione della poesia e sua pubblicazione. In una parola, di mantenere la poesia fresca e attuale. Azzeramento cronologico massimamente utile se la creatività dell’autore s’incardina sullo sfondo di eventi recenti della storia e della società. E azzeramento cronologico che invece è inficiato dai tempi mediamente semestrali di risposta editoriale cartacea, a loro volta raddoppiati dall’iter di pubblicazione (sarà anche per questo, mi chiedo, che la poesia contemporanea tende, con mirabili eccezioni, a essere sempre più esistenzialista, ripiegata nell’io lirico e sganciata dai tempi che viviamo?).
Un rapido riscontro oltreoceanico: un portale internet come lithub.com sta pubblicando già dai primi giorni di gennaio 2017, quindi da prima dell’insediamento, poesie e prose brevi di vari autori contro Trump, quelli del movimento Writers Resist che comprende poeti laureati come Robert Pinsky e Rita Dove. Stesso lavoro di aggregazione (poetica ma non solo) sta facendo da pochi giorni un nuovo portale dal nome scoundreltime.com. Dal canto suo Nicolas Kristof opinionista del NY Times online aveva lanciato nello spazio commenti del suo blog dei contest di poesia in rete sulla guerra in Iraq o sul razzismo; il 23 gennaio ne ha aperto uno anche su Trump, con indole bipartisan (“esprimete le vostre paure e le speranze”, esorta Kristof); nella massa di componimenti spiccano già alcune gemme freschissime.
Tutti esempi di poesie del disappunto, della paura e della resistenza che, se anziché in rete fossero state pubblicate coi tempi editoriali di un volume cartaceo, avrebbero perso almeno la metà del loro mordente e del loro senso di viva angoscia.
Ritengo la capacità attualizzante della rete un’arma irrinunciabile per la poesia. Per questo, e per altri aspetti che non tocco per brevità, la disintermediazione portata dalla rete non va stigmatizzata troppo, come abbiamo visto fare, o peggio dismessa, ma secondo me ben temperata facendola rifluire in una reintermediazione operata dalla rete stessa, cioè in una riaffermata centralità e responsabilizzazione del grande ruolo critico ed editoriale che la rete stessa può e deve continuare a esercitare.
Mi spiego. Occorre dare sempre maggiore importanza all’esperienza di selezione e pubblicazione che i portali collettivi di poesia esercitano con autorevolezza. Tra questi sicuramente Atelier poesia e altri portali (una mia hit list personale e non esaustiva: Poetarum Silva, Carteggi Letterari, Nazione Indiana e per ultimo quello che mi vede come redattore, Perìgeion); tutti siti web che presentano il vantaggio di offrire congiuntamente selezioni di testi poetici da una parte e apparati critici dall’altra.
L’auspicio, che faccio anche a me stesso in quanto redattore, e da cui dipende l’uscita da questa querelle sulla poesia online, è che questo mix sia al più presto rimodulato con un sempre maggior bilanciamento tra proposizione del testo dell’Autore inedito e riproposizione dell’Autore già “conclamato”, già edito in cartaceo; la quale ultima, a quanto vedo, per ora prevale.
In una parola, sogno portali di poesia in perfetto equilibrio tra il ruolo di “cacciatori di teste” e quello di incensatori di talenti già affermati. Aumentando la prima componente.
Del resto già il Balestrini della citata intervista del 2006 sottolineava come, dopo un’iniziale difficoltà di orientamento per l’abbondanza di materiale, ben presto ci si orienti speditamente e si riesca da soli a capire dove cercare le cose migliori: «È un ottimo strumento, il solo inconveniente è che si fa un po’ fatica a orientarsi in mezzo a tutta questa abbondanza. Ma con un po’ di pazienza si arriva a individuare dove si trovano le cose che interessano e in più si possono avere rapporti diretti con gli autori».
Questo sistema misto, a pieno regime, avrebbe le potenzialità di essere contemporaneamente vetrina per gli esordienti e strumentario ermeneutico attraverso l’analisi dei conclamati; dando così legittimazione a chi è stato per la prima volta illuminato dalle luci della ribalta strappandolo all’isolamento; e diventando il portale un riferimento per chi si addentra nella selva della poesia in rete da mero “consumatore”.
L’aspetto virtuoso di filtro sulla poesia emergente è poi coronato – e chiudo – da alcuni casi di ottima editoria sbocciata dal web.
Citerei a questo proposito almeno l’esempio di larecherche.it che da anni ormai presenta, a lato della sua attività istituzionale di portale di poesia, una collana di “ebook liberi” e gratuiti. La collana mette assieme esordienti assoluti e voci autorevolissime come quelle di Mariella Bettarini e Franco Buffoni.
Anche Carteggi Letterari ha tratto beneficio dalla sua esperienza come portale di poesia per proporsi anche come Editore tradizionale caratterizzato da un’estrema cura del prodotto cartaceo.
Ma, per finire, merita una considerazione particolare e autonoma il “salto di specie” operato pochi mesi fa da internopoesia.com che ha aggiunto alla sua attività di portale quella di editore cartaceo (Interno Libri) particolarmente attento alle opere prime.
Ora, grazie a un articolo di Fabio Chiusi, sono saliti alla ribalta de L’Espresso, ma io li seguo e sostengo dal 27 settembre 2016, lancio del primo progetto. Dalle prime 4 uscite sembrano dare ai debuttanti il 50% dello spazio, realizzando il perfetto equilibrio di cui parlavo prima.
È un’editoria brillantemente basata su procedure virtuose come il metodo del crowdfunding (microfinanziamento) per ogni volume della collana, e la massima trasparenza su spese e diritti d’autore.
Ecco, a chiusura del cerchio, che un’esperienza in rete spiega addirittura degli effetti benefici “a ritroso” sull’editoria tradizionale cartacea, rinforzando un’intuizione – quella di superare col crowdfunding il famigerato contributo all’editore – che era stata al settembre ‘16, a quanto mi consta, messa in opera da un solo editore cartaceo già esistente, cioè Samuele Editore (il cui primo crowdfunding poetico, per Il colore dell’acqua di Alessandro Canzian, è stato lanciato addirittura il 4 novembre del 2015 e chiuso il 12 dicembre dello stesso anno).
Altri Editori stanno adottando lo stesso meccanismo, per es. l’Ass. Mille Gru che ha potuto così finanziare il progetto Controlli di Rosaria Lo Russo e Daniele Vergni. La previsione e auspicio è che molti altri seguano.
Dunque, per scomodare i piani altissimi: mé phobeìsthe, non c’è da avere paura, men che meno sprezzo, dell’online in poesia. Occorre piuttosto dar fiducia a quel grande “TomTom poetico” che sono Atelier online e gli altri siti specializzati.
Ai critici online rinnovo invece l’invito ad aprirsi maggiormente al loro ruolo di talent scout.
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[1] Francesco PERMUNIAN, Giudici e Zanzotto, ultimi maestri capaci di minimizzare se stessi, in “La lettura”, supplemento al Corriere della sera del 18 dicembre 2016, p. 14.
[2] Aldo NOVE, Ma scrivere versi non fa rima con facebook, in “L’Espresso” del 29 gennaio 2017, p. 84.

Wow Rob!,Eccellente analisi!
Bell’articolo Roberto.