Ho a lungo posposto una recensione all’ultimo libro di poesie di Viola Amarelli, L’ambasciatrice, rinviandovi, se ricordate, a quanto aveva scritto Francesco Tomada su Perìgeion. Con la mia imperdonabile lentezza (mi risolvo ora che è imminente l’uscita di un nuovo libro di Viola) ho però quantomeno guadagnato maggior accuratezza di cronaca, potendo esultare perché dopo l’edizione cartacea del libro (Sartoria Utopia), esaurita quasi all’istante, è ora liberamente scaricabile la seconda edizione in free ebook presso Smith&Laforgue!

Pochi Autori sanno dare ai loro versi una connotazione sapienziale come Viola, che come sempre punta il suo sguardo verso la necessità di ricondurre la realtà alla sua dimensione semplice e organica, predicando distacco, demistificazione, “emanciparsi dall’incubo delle passioni” (cit.), capovolgimento di prospettiva: a un livello superiore di comprensione, ma di sesto grado nella messa in pratica, «la vita è l’arte di essere perdenti», si legge in en plein air.
Uno sguardo certamente imbevuto d’oriente perché lo stesso atto della scrittura è concepito come un mandala la cui percezione scorre parallelamente alle pagine: il libro è compreso tra un’apertura ostica all’eventualità stessa del disporsi in poesia «Troppo difficile da dire | E tu non dire» e una quasi chiusura (Fama: «in fondo | a margine | sotto | una postilla – et alia – | cancella anche quella») in cui sembra di poter sfiorare la mano che pone nel nulla (la stessa illusione de) la creazione. Per poi ricominciare? Probabilmente sì.
Le sezioni del libro fluiscono, ciascuna nella propria originalità di argomento e stile. Quella che dà il titolo all’opera ha un impianto maggiormente narrativo, presentandoci l’intreccio tra più personaggi femminili (uno dei quali traduce Rumi, poeta ovviamente molto vicino alla inclinazione di Viola).
Ma a lasciare il segno sono soprattutto le parti in cui la scrittura procede per brevi tratti, per frammenti a volte aforistici a volte lirici.
Indicherei i migliori risultati nella sezione io scrivo te, rivolta a decostruire e a squagliare nel reagente del sarcasmo e dell’ironia – che pure «non salva» – il desiderio di fama letteraria e le storture comportamentali, i calcoli cui inevitabilmente porta. Questa gara d’ambiziosi cui quotidianamente, come poeti d’argine e margine, si assiste. Quando è sempre più chiaro che «non abbiamo niente, niente da dire».
Più ancora, nelle stanze amorose che precedono, dove l’amore è fotografato nel momento panico de la liberazione da esso, in una poesia memorabile:
Per tutte le stelle, per gli orli dei lampi
e il fischio dei venti, un grande miracolo
la viva apertura
la gioia che è risata, sentite,
ascoltate voi saraghi al mare,
antilopi all’erta e cervi volanti,
pistilli e rizoma, ramaglie e anche humus,
la liberazione – io non l’amo più.
e ricondotto alla sua immediatezza, in fondo salvatrice, di impulso erotico (vecchiaia; Teresa ex depressa).
Pur essendo pienamente in possesso dello strumentario poetico, giocato in molti passi anche qui tra citazioni cólte e variazioni enigmistiche, la poesia di Amarelli attinge il suo valore dall’antiretorica, dalla capacità di scrostare, senza alcuna animosità (o forse con animosità controllata quando si parla di poeti), il mondo dalle sue costruzioni, istintive (trahimur omnes studio laudis) o culturali che esse siano. In questo senso, nonostante (o forse grazie a) la comunanza di elementi con l’approccio buddista, mi preme definirla come una poesia assai lontana dal mistico, poiché punta le sue fiches su ciò che realmente è, sulle nudecrudecose (per citare un titolo passato), senza rivestimenti.
“Leggete le poesie di Viola e vi ci fidanzerete (cit. Leopoldo Attolico)”