M. Brancale – trittico della migrazione

I clandestini sono esseri umani
che hanno l’inverno nel cuore ed intorno
una tempesta ed il morso dei cani
sul sole delle attese. Ed il ritorno
alla fornace da cui partirono
gli viene rimproverato, a contorno
di un gelo palese, fatto di attriti,
come un dovere figlio della colpa,
come per gioco fossero partiti,
fuggiti.
_____Ogni notte una nave salpa.

Arrivano sfiniti i pettirossi
nelle campagne, mentre gli altri alati,
tortore e colombe, con stuoli scossi
dal fresco, e le rondini che dai lati
dell’abitato garriscono acute,
lasciano l’orizzonte: da immigrati,
gli uni e gli altri, con schiere non astute,
come i turdidi arrivati a svernare,
che sono sottoposte alle battute
di caccia, che vengono da oltremare.

“È caro al passo del migrante il senso
della direzione, sia siepe o colle,
uno sbocco nell’orizzonte immenso.
Brevi tratti diventano corolle
di silenzio sovrumano, di quiete
apparente in spazi, talvolta zolle,
interminati a causa di concrete
paure, dello stormire clandestino
del vento tra le piante che irrequiete
non danno rifugio. È un istante fino
al naufragio che dura di infinite
attese e arriva improvviso: confino
di speranze rese alla voce mite
e poi inospitale che adesso abbino
a stagioni ardite. In mare finite?”.

Sono molto grato a Michele Brancale per avermi dato il permesso di pubblicare questo trittico della migrazione (appellativo sfornato dallo scrivente, spero che l’Autore sia concorde), anteprima di una nuova raccolta appena terminata alla quale auguro una pronta e virtuosa pubblicazione. Ci ritrovo in pieno la cifra del poeta fiorentino. Da un lato la costante attenzione metrica che qui si esprime per endecasillabi in terzine incatenate, con l’ultima poesia che ha una coda non di un verso ma di sei a rima alternata. Dall’altro lato, e ancora più fortemente, la tematica sociale, quell’hikmetiano prima di tutto ama l’uomo che troppo spesso mettiamo sotto valium. Sottilissimo effetto di “mnemo-ossimoro”, nella terza lirica, l’utilizzo del vocabolario leopardiano per un naufragare che di dolce ha assai poco. E l’epos umano, che qui somiglia a quello ornitologico, rimbalza con toni che, già a una prima lettura, non potevano non richiamarmi un Rilke quasi profetico (IV Elegia Duinese, vv. 1-5 e 10-11):

O Bäume Lebens, o wann winterlich?
Wir sind nicht einig. Sind nicht wie die Zug-
vögel verständigt. Überholt und spät,
so drängen wir uns plötzlich Winden auf
und fallen ein auf teilnahmslosen Teich. (…) Feindschaft
ist uns das Nächste.

O alberi della vita, quando l’inverno?
Non c’è accordo tra noi, non intesa come
nei migratori in volo. Sorpassati e tardivi,
ci sospingiamo all’improvviso nei venti
e cadiamo nello stagno indifferente. (…) L’ostilità
ci è prossima.

Se volete dare uno sguardo alle mie note di lettura sui precedenti lavori di Michele, ecco i link diretti a La fontana d’acciaio (mia preferita), Soave e invecchiato e Salmi metropolitani.

image credits ANSA (foto 1 e foto 3) e Reuters (foto 2). Il loro utilizzo è inteso per fini artistici e non commerciali e sono rimovibili a richiesta del titolare dei diritti.

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