
Intanto devo ringraziare l’amica Marina Allegro che, chiedendomi se avessi sottomano una traduzione autorevole di Auguries Of Innocence di William Blake (l’unica è quella di Roberto Sanesi Dario Villa nella ormai esaurita “Fenice” Guanda), mi ha insinuato il desiderio di provare a tradurla.
Sottovaluto sempre il potere di accrescere la musicalità e la fantasia che sta nella pratica della traduzione. Mi ero cimentato già una volta e ora ci riprovo, o voi infelici.
Mi sento molto Annibal Caro – o Gesualdo Bufalino con Les fleurs – ma, secondo me, trattandosi di versi che ricalcano stilemi precisi (filastrocca, proverbio), la rima è praticamente obbligatoria, dunque ci vuole una libertà anche consistente.
Poiché pare che i versi della lirica sian stati spesse volte presentati anche in ordine differente, mi sono sentito libero di spostare le interruzioni sulla base del senso che ho voluto inferirne.
Di seguito il testo. Buona lettura.
ATTENZIONE: La traduzione e le note sono rilasciate con la Licenza Creative Commons BY-NC-ND nei termini di cui alla colonna destra del sito. (uso non commerciale, citazione del traduttore [cioè io, Roberto R. Corsi], se possibile citazione di questo blog, nessuna modifica).
Ultima revisione: 14 giugno 2018
(cambiata la traduzione della prima quartina, ringrazio i doppiatori di WestWorld 🙂 )
AUGURIES OF INNOCENCE
To see a world in a grain of sand,
And a heaven in a wild flower,
Hold infinity in the palm of your hand,
And eternity in an hour.
A robin redbreast in a cage
Puts all heaven in a rage.
A dove-house fill’d with doves and pigeons
Shudders hell thro’ all its regions.
A dog starv’d at his master’s gate
Predicts the ruin of the state.
A horse misused upon the road
Calls to heaven for human blood.
Each outcry of the hunted hare
A fibre from the brain does tear.
A skylark wounded in the wing,
A cherubim does cease to sing.
The game-cock clipt and arm’d for fight
Does the rising sun affright.
Every wolf’s and lion’s howl
Raises from hell a human soul.
The wild deer, wand’ring here and there,
Keeps the human soul from care.
The lamb misus’d breeds public strife,
And yet forgives the butcher’s knife.
The bat that flits at close of eve
Has left the brain that won’t believe.
The owl that calls upon the night
Speaks the unbeliever’s fright.
He who shall hurt the little wren
Shall never be belov’d by men.
He who the ox to wrath has mov’d
Shall never be by woman lov’d.
The wanton boy that kills the fly
Shall feel the spider’s enmity.
He who torments the chafer’s sprite
Weaves a bower in endless night.
The caterpillar on the leaf
Repeats to thee thy mother’s grief.
Kill not the moth nor butterfly,
For the last judgement draweth nigh.
He who shall train the horse to war
Shall never pass the polar bar.
The beggar’s dog and widow’s cat,
Feed them and thou wilt grow fat.
The gnat that sings his summer’s song
Poison gets from slander’s tongue.
The poison of the snake and newt
Is the sweat of envy’s foot.
The poison of the honey bee
Is the artist’s jealousy.
The prince’s robes and beggar’s rags
Are toadstools on the miser’s bags.
A truth that’s told with bad intent
Beats all the lies you can invent.
It is right it should be so;
Man was made for joy and woe;
And when this we rightly know,
Thro’ the world we safely go.
Joy and woe are woven fine,
A clothing for the soul divine.
Under every grief and pine
Runs a joy with silken twine.
The babe is more than swadling bands;
Throughout all these human lands
Tools were made and born were hands,
Every farmer understands.
Every tear from every eye
Becomes a babe in eternity;
This is caught by females bright,
And return’d to its own delight.
The bleat, the bark, bellow, and roar,
Are waves that beat on heaven’s shore.
The babe that weeps the rod beneath
Writes revenge in realms of death.
The beggar’s rags, fluttering in air,
Does to rags the heavens tear.
The soldier, arm’d with sword and gun,
Palsied strikes the summer’s sun.
The poor man’s farthing is worth more
Than all the gold on Afric’s shore.
One mite wrung from the lab’rer’s hands
Shall buy and sell the miser’s lands;
Or, if protected from on high,
Does that whole nation sell and buy.
He who mocks the infant’s faith
Shall be mock’d in age and death.
He who shall teach the child to doubt
The rotting grave shall ne’er get out.
He who respects the infant’s faith
Triumphs over hell and death.
The child’s toys and the old man’s reasons
Are the fruits of the two seasons.
The questioner, who sits so sly,
Shall never know how to reply.
He who replies to words of doubt
Doth put the light of knowledge out.
The strongest poison ever known
Came from Caesar’s laurel crown.
Nought can deform the human race
Like to the armour’s iron brace.
When gold and gems adorn the plow,
To peaceful arts shall envy bow.
A riddle, or the cricket’s cry,
Is to doubt a fit reply.
The emmet’s inch and eagle’s mile
Make lame philosophy to smile.
He who doubts from what he sees
Will ne’er believe, do what you please.
If the sun and moon should doubt,
They’d immediately go out.
To be in a passion you good may do,
But no good if a passion is in you.
The whore and gambler, by the state
Licensed, build that nation’s fate.
The harlot’s cry from street to street
Shall weave old England’s winding-sheet.
The winner’s shout, the loser’s curse,
Dance before dead England’s hearse.
Every night and every morn
Some to misery are born,
Every morn and every night
Some are born to sweet delight.
Some are born to sweet delight,
Some are born to endless night.
We are led to believe a lie
When we see not thro’ the eye,
Which was born in a night to perish in a night,
When the soul slept in beams of light.
God appears, and God is light,
To those poor souls who dwell in night;
But does a human form display
To those who dwell in realms of day.
AUSPICI D’INNOCENZA (1803?)
Per vedere un mondo in un grano di sabbia,
o un paradiso in un selvatico fiore,
sappi cogliere l’infinito nel palmo della mano,
l’eternità nel volgere di un’ora.
[5] Un pettirosso rinchiuso in gabbia
di tutto il paradiso scatena la rabbia.
La colombaia zeppa di colombi e piccioni
d’inferno scuote tutte le regioni.
Can tenuto alla fame dal padrone
[10] predice la rovina della nazione.
Cavallo per strada sfiancato invano
asseta il cielo di sangue umano.
Ogni gannìto della lepre braccata
è una fibra al cervello strappata.
[15] Per ogni allodola ferita all’ala
d’un cherubino il canto s’ammala.
Galletto alla pugna tarpato e borchiato,
e il sole del mattino nasce terrorizzato.
Per ogni ruggito, per ogni ululato
[20] dagl’inferi risale l’anima d’un dannato.
Il cervo selvaggio zampetta qua e là
serbandoci l’animo dall’ansietà.
Arreca tumulto l’agnello maltrattato:
eppure del beccaio la lama ha perdonato.
[25] Il pipistrello errante sul finir della sera
promana dalla mente di chi in Dio dispera.
Il gufo che bubola per tutta la notte
dà voce alla paura delle agnostiche frotte.
Chi lo scricciolo maltratterà
[30] mai dagli uomini amore avrà.
Chi del bue l’ira ha causato
mai sarà da donna amato.
Il bulletto che ammazza la mosca
rancor del ragno è destin che conosca.
[35] Chi a tormentar lo scarafaggio s’avvita
mette su casa nella notte infinita.
Il bruco sulla foglia
ripete di tua madre a te la doglia.
Falene o farfalle non ammazzare:
[40] il giorno del giudizio sta per arrivare.
Chi alla guerra il cavallo addestrerà,
mai i cancelli del cielo passerà.
Il cane del mendìco, della vedova il micio:
nutrili, la tua pancia ne avrà beneficio.
[45] La zanzara che ronza la sua canzone estiva,
dalla lingua maldicente trae la tossica saliva.
Salamandra e serpente prendono lor veleno
dal sudore del piede di chi l’invidia ha in seno.
Il veleno dell’ape al miele intenta
[50] è la gelosia che l’artista dentro di sé alimenta.
Vestiario principesco e stracci da accattone:
entrambi, a chi li porta, venefica pozione.
Una verità detta con l’intento di far male
sorpassa ogni bugia che tu possa inventare.
[55] Così va e così deve andare;
l’uomo è fatto per gioire e penare,
e quando questo apprenderemo
per il mondo sicuri andremo.
Gioia e duol sono ben mescolati,
[60] per l’anima divina in una veste intrecciati.
Sotto ogni duolo che di desìo affama
scorre una gioia con serica trama.
Un bimbo è più delle sue fasce;
in tutte le terre in cui l’uomo si pasce
[65] si fanno attrezzi e si tiran su mani,
questo lo intendono pure i villani.
Ogni lacrima che dagli occhi se ne va
diviene un bimbo per l’eternità;
questo è còlto dalle donne d’intelletto
[70] e riportato al suo proprio diletto.
Belato, barrito e gli altri versi animali
son onde che giungono ai celesti litorali.
Il bimbo che piange sotto il bastone,
nel regno della morte avrà soddisfazione.
[75] Del povero al vento le cenciose vesti
straziano in cenci anche le sfere celesti.
Il soldato, armato con spada e fucile,
con la paralisi il sole d’estate va a colpire.
Lo spicciolo del povero vale ben più
[80] che tutto l’oro di Ouagadougou.
La moneta a forza strappata a un artiere
compra e vende del misero il podere;
oppure, se dall’alto riceve protezione,
può vendere e comprare l’intera nazione.
[85] Chi la fede del bimbo irride forte
sarà lui stesso irriso in vecchiaia ed in morte.
Chi insegna al bambino a dubitare
di marcir nella tomba giammai potrà evitare.
Chi per la fede del bimbo ha rispetto
[90] d’inferno e morte trionfa al cospetto.
I giochi del bambino, del vecchio la ragione:
ciascuno è il frutto della propria stagione.
Chi fa domande e se ne sta lì, astuto,
nel replicare non sarà mai arguto.
[95] Chi replica del dubbio all’occorrenza
spegne la luce della conoscenza.
Il più potente veleno che si sia conosciuto
dalla corona d’alloro di Cesare è venuto.
Niente può deformare l’umana genitura
[100] come non si deforma un maglio d’armatura.
Quando d’oro e di gemme son gli aratri cosparsi,
alla pace l’invidia deve pure piegarsi.
Il frinire del grillo, o un indovinello,
di replicare al dubbio è un modo adatto e bello.
[105] Il minuscolo insetto e l’aquila alta in cielo
zoppa filosofia fan sorridere con zelo.
Chi dubita perfino dei prodigi che vede
fede mai avrà, tu fai quello che credi.
Se il sole e la luna dovessero dubitare
[110] cesserebbero subito d’illuminare.
Per provare passione il bene tu puoi fare,
ma non è bene se è lei in te a sostare.
Bagascia e giocatore, con l’autorizzazione
statale, fan le sorti di quella nazione.
[115] Il grido della puttana per la rete viaria
della vecchia Inghilterra intesserà il sudario.
L’urrà del vincitore, gli strali del perdente
danzano innanzi al carro d’Inghilterra morente.
Ogni notte e ogni mattino
[120] nascono alcuni a misero destino;
ogni mattino e ogni notte
nascono alcuni a soavità ghiotte.
Nascono alcuni a soavità ghiotte,
nascono alcuni ad infinita notte.
[125] A una menzogna siam spinti ad abboccare
quando attraverso gli occhi non sappiamo guardare
ciò che è nato nell’oscuro per perir nell’oscuro,
quando l’anima in raggi di luce era al sicuro.
Dio appare, e Dio è luce
[130] per la povera anima che nella notte si conduce;
ma in forma umana si manifesta intorno
per coloro che vivono nel reame del giorno.
NOTE:
v. 3: Hold (presupponendo il “to”, cioè l’infinito); secondo me, in un senso vicino a behold: cioè non “tenere” o “trattenere”, ma saper cogliere, intuire l’infinitamente grande nell’infinitamente piccolo (il che lo raccorda anche coi versi iniziali).
v. 42: The polar bar è espressione enigmatica anche per i madrelingua: tra le varie ipotesi scarto quella di “banchisa polare” (e perché uno dovrebbe andarci per forza?); inizialmente avevo trovato più convincente quella per cui polar dovrebbe voler dire “cruciale”, “di capitale importanza”; essendo bar la barra degl’imputati e dei testimoni al processo, l’espressione dovrebbe riferirsi al sopracitato giudizio universale. Ma poi, per analogia con un couplet This life’s dim windows of the soul / Distorts the heavens from pole to pole (The everlasting gospel, 5, 101), ove ci si riferisce ai “quattro angoli del cielo”, come diremmo noi, ho “virato” sul senso di oltrepassare l’entrata del paradiso.
v. 52: letteralmente “funghi velenosi sul borsello”. Miser’s bag era il borsello-portafoglio dell’epoca, chiamato così a prescindere dal censo di chi lo portava, perché era fatto con una strozzatura al centro in modo da potervi introdurre facilmente le monete mentre era difficile estrarle.
v. 61: intendo pine nel significato arcaico di “struggente desiderio”.
v. 96: put out può voler dire sia “spegnere” (specialmente una luce o un incendio) che “diffondere, manifestare”. Dunque la scelta orienta l’intero periodo. Scelgo la prima alternativa perché lo spirito della lirica mi sembra dogmatico e anti-filosofico almeno per quanto riguarda la fede: mi confortano in questo senso i vv. 101-106, dove di fatto si irride o sprezza chi cerca di dimostrare filosoficamente ciò che è frutto dell’innocenza e fede-fiducia o a cui si giunge per intuizione.
Caro Roberto, lo straordinario è cimentarsi in una traduzione abbastanza complicata quasi per hobby. E’ vera passione per la scrittura anche altrui!
Complimenti! Liliana
[…] * Traduzione di Roberto R. Corsi (vd. https://robertocorsi.wordpress.com/2011/04/07/et-robertus-annibal-caro-factus-est/). […]